Cosa ci hanno rivelato le sfilate della fashion week appena conclusa?
Devo confessarvi che è stato difficile individuare tendenze e trend chiari e definiti. Sembra che molti brand sentissero l’esigenza di proporre un po’ di tutto: dalle trasparenze leggere viste ovunque, ai cappotti oversize decisamente pesanti; dalle modelle in mutande (quasi sempre), agli abiti da sera importanti, spesso asimmetrici, con tagli e spacchi profondissimi. Sembra quasi che nessun tipo di acquirente debba essere escluso, in un momento così difficile per la moda a livello globale.
I mercati asiatici, che in passato hanno sostenuto i fatturati delle aziende occidentali, non sono più un motore trainante, essendo anch’essi in crisi. Inoltre, ci sono ancora due guerre in corso che bloccano aree strategiche come la Russia e il Medio Oriente.
Non dimentichiamo nemmeno che ci stiamo lasciando alle spalle una pandemia che ha cambiato radicalmente le priorità di acquisto. Oggi, la gente è più attenta: pensa meno all’apparenza – ai vestiti e ai beni effimeri – e di più ai valori e alle esperienze. Acquista con più cautela, preferendo investire in una cena fuori o risparmiare per un weekend piuttosto che aggiungere l’ennesimo capo all’armadio già pieno.
Avrete notato anche voi i negozi vuoti nel centro città e i voli low cost sempre strapieni. Il mercato del superlusso subisce meno scossoni, anche se vedere la scritta “Dior” dipinta a caratteri cubitali sulle gonne mi fa pensare che qualche problema lo abbiano anche loro. Ma i brand indipendenti come il nostro, che non hanno alle spalle grandi fondi o investitori, sono i più colpiti da questo terremoto. A mio parere, la strategia da seguire è una sola: concentrarsi su ciò che si vuole esprimere attraverso il prodotto, che non può essere solo una bellissima (e magari importabile) espressione del genio di un designer. Deve essere qualcosa che oggi le persone percepiscono come un bisogno reale, concreto, ben fatto e duraturo.
Mi ha molto colpito lo show dei giovani studenti della scuola di moda Marangoni. I migliori tra loro hanno presentato mini collezioni dal sapore apocalittico: abiti come corazze, di pelle o tessuto, con spalle scolpite e cappucci voluminosi. Un’idea futuristica di un mondo in cui le persone, anziché socializzare, si vestono per proteggersi da un pericolo imminente. Forse hanno ragione loro, ma non è certo questa la moda che vorremmo indossare nei prossimi anni.
Noi apparteniamo a un’altra generazione, quella che ha vissuto il bello del Made in Italy, nato anch’esso in un momento difficile, ma che ha poi riscosso un successo strepitoso in tutto il mondo. Per noi, la moda è ancora sinonimo di gioia, positività e inclusione. Mai come oggi, però, dobbiamo evitare stranezze e tendenze estreme, concentrandoci su un prodotto sartoriale, concreto, facile da indossare e ovviamente sostenibile.
La collezione Spring Summer 2025 che io e Daniela abbiamo presentato all’Hotel Diana risponde a queste caratteristiche di chiarezza, portabilità ed eleganza italiana. è stata apprezzata dalla stampa anche perché si integrava perfettamente con la quiete del bellissimo giardino che ci ospitava, in mezzo al caos della fashion week milanese. Crida vuole essere così: un’oasi di eleganza italiana nella giungla delle tante proposte sempre più seducenti ma effimere che ci circondano.
Se oggi possiamo scegliere poco, scegliamo bene. Se dobbiamo comprare meno, compriamo meglio.